mercoledì 19 settembre 2012

La gaffe di Romney e il sogno americano


La recente gaffe di Mitt Romney sugli elettori di sinistra, che a suo dire sarebbero dei parassiti che vogliono vivere grazie ai sussidi dello Stato, può essere un'occasione per riflettere non solo sui reciproci pregiudizi che hanno gli elettori di destra nei confronti di quelli di sinistra e viceversa, ma anche sulle rispettive visioni del mondo. E' evidente che Romney, il candidato repubblicano alla Casa Bianca che si stava rivolgendo ad un pubblico di suoi finanziatori, credendo di non essere ripreso, abbia espresso un punto di vista già diffuso nell'elettorato di destra, soprattutto quello più facoltoso.
Ma ecco la frase incriminata di Ronney: "C'è un 47% di americani che votano Obama, che sono con lui a prescindere, che dipendono totalmente dal governo, pensano di essere vittime, pensano che il governo abbia la responsabilità di dare loro il diritto alla sanità, al cibo, alla casa. Sono persone che non pagano le tasse sulle entrate. Il mio compito non può essere quello di preoccuparmi di loro, non li convincerò mai di assumersi le loro responsabilità personali e prendersi cura di loro stessi".
Ora, è interessante come Romney non distingua la sanità dal cibo e dalla casa, distinzione che a un europeo verrebbe spontanea, dal momento che in Europa si considera la sanità, e anche l'istruzione, come un diritto.
L'accusa di non pagare le tasse sulle entrate è ridicola, perché in America chi percepisce un reddito basso è esentato dal pagamento delle tasse, tra l'altro per una norma voluta da un presidente repubblicano, Ronald Reagan. Inoltre questa accusa viene da un super-ricco il quale ha fatto di tutto (magari utilizzando vie legali) per pagare meno tasse possibile, in un Paese che già garantisce una tassazione bassa per le fasce di reddito più alte (il famoso finanziere, il miliardario in dollari Warren Buffett ha ricordato di pagare in percentuale meno della sua segretaria).
E' poi ridicolo accusare addirittura il 47% della popolazione americana (cioè tutti gli elettori di Obama) di aspettarsi un'assistenza dallo Stato, soprattutto in un Paese dove predomina l'ideologia del "farsi da sé" e del "sono americano". Certamente una visione manichea di questo tipo, dove tutti quelli che non la pensano come noi sono cattivi, non è il massimo da parte di un candidato alla presidenza.
Ma quanti di noi tendono a ragionare allo stesso modo?
Invece, prima di dare un giudizio sprezzante, dovremmo sentire l'altra campana, e cercare di capire il punto di vista altrui, senza demonizzarlo. Magari l'altro ha torto, ma perché sostiene ciò che sostiene? siamo sicuri che lo faccia in malafede o per interesse? Perché il nostro punto di vista dovrebbe essere più genuino di quello altrui?
In effetti, magari non in America e non nel 47% dei suoi elettori, ma in Europa, soprattutto nei Paesi mediterranei, è diffusa (ovviamente non in tutti) l'idea che lo Stato debba trovare un lavoro ai suoi cittadini. Una volta un elettore del Movimento a 5 stelle mi disse proprio una cosa del genere: Grillo aveva fatto bene a dire che lo Stato è peggio della mafia, perché lo Stato non trova lavoro a tanti disoccupati del Sud (evidentemente la mafia sì?).
E mentre in America chi prende un sussidio lo fa per cause di forza maggiore (leggi: disoccupazione, tra l'altro conseguenza della crisi economica scoppiata sotto il presidente repubblicano Bush), in Italia, per esempio, e ancora più in Grecia, molti hanno sognato un posto fisso statale, per lavorare il meno possibile e avere uno stipendio assicurato a vita.
Il punto di vista più equilibrato mi sembra quello delle socialdemocrazie europee, dei Paesi nordici come la Germania o la Svezia: lo Stato garantisce i diritti essenziali come istruzione e sanità, e offre anche un sussidio di disoccupazione per chi perde il lavoro; d'altro canto l'individuo si comporta in maniera responsabile, per cui studia e lavora per dare il proprio contributo alla società. Insomma, il cittadino ha dei diritti ma anche dei doveri.
Le posizioni ideologiche sono quelle di chi pensa che un individuo si possa "fare da sé" prescindendo dalla società in cui è cresciuto e in cui lavora, senza magari poi dover dare nulla in cambio, e anche quella di chi pensa che debba essere lo Stato a fornire la pappa pronta ai suoi cittadini. Per fortuna quest'ultima idea non viene ufficialmente fatta propria da nessuno, anche se una parte dei politici di destra e di sinistra (e forse anche certe trasmissioni televisive...) fa più o meno intendere che sia possibile una cosa del genere. E molti elettori ci cascano e pensano che se alle prossime elezioni vincerà il loro candidato, saranno rose e fiori. D'altro canto le assunzioni facili che si vedono sopratutto in certe regioni del Sud fanno pensare come purtroppo lo Stato svolga una funzione di datore di lavoro (o meglio di stipendio) secondo una distorta visione del Welfare State.
Speriamo che la lotta contro gli sprechi portata avanti dalla Germania (un Paese dove lo stato sociale è generoso) contribuisca a rendere più efficiente anche lo Stato italiano, e a distinguere nettamente lo Stato come stipendificio (cosa che non deve essere), dallo Stato come assicuratore dei diritti fondamentali (cosa che deve essere).
L'ideologia americana, secondo cui l'individuo si deve fare da sé senza chiedere niente a nessuno, aveva un senso fino all'Ottocento, quando per vivere bene secondo i parametri dell'epoca bastava un pezzo di terra, che in America non veniva negato a nessuno perché ce n'era a sufficienza, e una buone dose di forza di volontà per lavorarla. Il personaggio di John Wayne nel  film "Il fiume rosso", che non ha altro scopo nella vita che comprare un terreno e allevare una mandria di vacche, mostra molto bene quale fossero la mentalità e i sogni di quell'epoca.
Ma pensare che oggi tutti possano vivere bene soltanto con la propria forza di volontà, quando si sa che in una società moderna ad essere fondamentali per la crescita personale e lavorativa sono l'istruzione e le condizioni sanitarie in cui si vive sin dalla nascita, è assolutamente folle. D'altro canto nessuno può diventare ricco in un Paese che non produca già una qualche forma di ricchezza, e infatti i ricchi sono molti di più oggi che duecento anni fa. Nessuno viene da Marte, neanche quelli che "si fanno da sé".
Il "sogno americano" inteso poi come la possibilità di diventare molto più ricchi (e magari famosi) della media, se si riferisce a tutti è soltanto una presa in giro, o quantomeno non può essere alla base dell'organizzazione della società. Non si può cioè dire "questa è una società giusta perché uno su mille ce la fa": sarebbe interessante sapere come finiscono gli altri novecentonovantanove.
D'altro canto non si può neanche pretendere che la società non premi il merito o non consenta a chi vuole emergere in qualche campo, di farlo.
Se depuriamo questa visione dalle incrostazioni ideologiche tipiche della destra liberista, possiamo trarne un nocciolo razionale, che consiste nel dire che al di là di un minimo di stato sociale a cui tutti hanno diritto, e ad un serie di condizioni per vivere bene e poter operare al meglio che devono essere garantite dallo Stato (infrastrutture, legalità ecc.), l'individuo è comunque responsabile della propria condizione, e non può lamentarsi sempre con il governo se la sua condizione personale non è quella che desidererebbe.
Cioè l'individuo non può prescindere dalle condizioni in cui si trova né in un senso né nell'altro, non può credere di essere l'unico artefice della propria fortuna se le cose gli vanno bene, ma non può neanche lamentarsi con la società o con il governo, se ad esempio ha studiato poco o ha scelto un corso di laurea con pochi sbocchi professionali, e poi si ritrova disoccupato.

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