venerdì 27 luglio 2012

Terremoti a Roma



Come abbiamo già fatto per Milano e Torino, cerchiamo di analizzare il rischio sismico della città di Roma.
Nel corso della sua lunga storia la città eterna non è mai stata rasa al suolo da un terremoto, ma ha conosciuto diversi terremoti e ha subito più danni di quanto si potrebbe pensare. I danni hanno riguardato abitazioni private, soprattutto nell'antichità e nel medioevo quando la qualità costruttiva era spesso scarsa, e monumenti e chiese in tutte le epoche. Ad esempio il Colosseo è tuttora in piedi, ma è stato lesionato non soltanto dal tempo, dalle guerre e dagli incendi, ma anche e soprattutto dai terremoti. Nel V sec. d.C. fu anche parzialmente ricostruito dopo scosse particolarmente forti, tanto che rimane una lapide a testimonianza del restauro dopo il sisma del 484. Inoltre, il modo come è stato danneggiato il Colosseo mostra l'importanza della risposta locale del terreno, dal momento che una metà del monumento (quella che poggia su un terreno alluvionale e guarda verso sud-ovest) è visibilmente più lesionata dell'altra.

Storia sismica di Roma

Le notizie sui terremoti nel periodo antico e medievale sono per forza di cose frammentarie e incerte. Comunque nell'antichità sono documentati una serie di terremoti (83 a.C., 72 a.C., 15 d.C.), di magnitudo stimata superiore a 5, che produssero danni abbastanza rilevanti; ad esempio quello del 15 avrebbe fatto crollare parte delle mura serviane.
Per quanto riguarda il medioevo, si ricordano alcuni terremoti del V secolo, (443, una lunga serie di scosse nel periodo 476-477, e 484), altri nel IX secolo (801, molto forte e probabilmente di derivazione appenninica, 847, 849), fino ad arrivare a quello del 1044. Questi terremoti dovrebbero aver comunque provocato danni e crolli a monumenti come il Colosseo, chiese, colonne, obelischi.
Per il periodo dopo il 1.000 si può utilizzare il database dell'Ingv, e in particolare la pagina che riporta la storia sismica di Roma (la presentazione del database macrosismico si trova qui). 
Anche in questo caso distinguiamo gli effetti locali di un terremoto (misurati con la scala Mercalli-Cancani-Sieberg, MCS) dall'intensità dello stesso (misurata dalla scala di Magnitudo del momento sismico, Mw).
I valori interessanti per quanto riguarda gli effetti locali sono quelli che superano il livello 5:

3:  leggera - Avvertita da poche persone.
4 : moderata - Avvertita da molte persone; tremito di infissi e cristalli, e leggere oscillazioni di oggetti appesi.

5 : piuttosto forte - Avvertita anche da persone addormentate; caduta di oggetti.
6 : forte - Qualche leggera lesione negli edifici e finestre in frantumi.
7:  molto forte -  Caduta di fumaioli, lesioni negli edifici.
8:  rovinosa - Rovina parziale di qualche edificio; qualche vittima isolata.

I terremoti veramente distruttivi sono quelli che comportano un'intensità tra 9 e 12 nella scala Mercalli.

A giudicare dai dati dell'Ingv la storia sismica di Roma non è poi così irrilevante, dal momento che due volte in mille anni si è raggiunto il livello Mcs 7, che rappresenta la cosiddetta soglia del danno, e una volta il livello Mcs è stato tra 7 e 8. Altre tre volte il livello Mcs è stato tra 6 e 7.
Storia sismica di Roma
Il terremoto più forte dell'ultimo millennio avvertito a Roma è stato quello del 1349, quando si raggiunse un effetto locale Mcs tra 7 e 8. Il terremoto del 1349 fu distruttivo in una vasta area dell'Italia centro-meridionale (dall'Umbria all'Irpinia), al punto che i sismologi hanno ipotizzato l'esistenza di tre eventi distinti, aventi come epicentro rispettivamente:
- il Viterbese, vicino a Bagnoregio (magnitudo Mw 5.91), a circa 85 km da Roma
- l'Aquilano, nel parco Sirente-Velino (magnitudo Mw 6.5), a circa 80 km da Roma
- il Molise, dalle parti di Venafro (magnitudo Mw 6.6), a circa 140 km da Roma
Vista la non grande distanza dagli epicentri (rispetto all'intensità delle scosse), è possibile che i danni prodotti a Roma siano stati l'effetto cumulato di almeno i primi due eventi, ma forse anche il terzo, quello del Molise, vista la sua intensità può avere prodotto effetti nella Capitale, anche perché come si sa, gli edifici già danneggiati sono più vulnerabili in caso di nuove scosse (non vi è comunque certezza sull'effettivo ordine temporale delle scosse). L'anno successivo il Petrarca, giunto a Roma in occasione del Giubileo, constatò la presenza di molti danni, con un gran numero di chiese distrutte, e sostenne che Roma non aveva mai vissuto un simile scuotimento dalla sua fondazione.

Prima dell'anno 1000, anche il terremoto dell'801 aveva raggiunto un livello locale 7-8 nella scala Mcs. Oltre a danneggiare il Colosseo, il terremoto avrebbe provocato il crollo della chiesa di Santa Petronilla e del tetto della basilica di San Paolo Apostolo. Probabilmente si trattò anche in questo caso di un terremoto localizzato nell'Appennino.

Il database non riporta il terremoto del 1227, che avrebbe causato la distruzione del monastero di San Clemente a Subiaco, e dovrebbe aver prodotto danni anche a Roma. Danni rilevanti si ebbero anche in occasione del terremoto di Cassino del 1231.

Non viene riportato neanche il terremoto del 1438 dei Castelli, di magnitudo Richter stimata 5.4/5.6, che dovrebbe aver prodotto qualche danno anche a Roma.

Dopo quello del 1349, negli ultimi mille anni il terremoto più forte è stato quello del 1703. Anche in questo caso siamo in presenza di più eventi, dal momento che sono stati ricostruiti i seguenti epicentri principali:
- 14 gennaio 1703, Appennino Reatino (Cittareale), magnitudo Mw 6.81, a circa 100 km da Roma
- 2 febbraio 1703, Aquilano (Montereale, Cagnano Amiterno), magnitudo Mw 6.65, a circa 85 km da Roma
Questi eventi furono distruttivi in una vasta area dell'Italia centrale, in particolare in Umbria, Abruzzo e Reatino, provocando migliaia di morti. Il database dell'Ingv riporta per entrambi gli eventi un effetto Mcs pari a 7 per la città di Roma: il primo fu in effetti più forte ma il suo epicentro fu un po' più distante. 

Oltre ai terremoti più forti dell'Appennino centrale, Roma può conoscere dei terremoti che si verificano nella zona dei Colli Albani, come pure terremoti locali centrati proprio nella stessa zona di Roma.

Nel 1812 un terremoto probabilmente centrato proprio nella zona di Roma (centro), di magnitudo Mw 5.03, produsse effetti leggermente inferiori a quello del 1703 (livello Mcs 6-7 anziché 7), portando crolli parziali in alcune chiese. Questo terremoto si verificò sei anni dopo il forte terremoto dei Castelli del 1806, che a Roma ebbe un effetto Mcs pari a 5-6, e dopo la replica del 1810. Questi eventi mostrano come i terremoti si presentino spesso insieme, richiamandosi l'un l'altro (probabilmente perché un evento va a sollecitare le faglie vicine).

Effetti simili a quelli del 1812 (Mcs 6-7) si ebbero anche in occasione del terremoto del 1899 ai Colli Albani (Mw 5.18), e in occasione del grande terremoto di Avezzano (1915), di magnitudo Mw 7.0, un potentissimo terremoto il cui epicentro si trova ad una distanza ragguardevole, circa 87 km dal centro di Roma. In quell'occasione a Roma (che comunque era molto più piccola e meno popolata di oggi) non ci furono morti, ma vi furono comunque danni a chiese e monumenti.

Effetti ancora inferiori (Mcs 6) si ebbero in occasione del terremoto dei Colli Albani del 1927 (magnitudo Mw 5.02). Naturalmente il livello Mcs 6 indica che il terremoto è avvertito come forte dalla popolazione, ma per fortuna non produce danni rilevanti.

I Colli Albani hanno conosciuto diversi altri terremoti, in genere di magnitudo Mw compresa tra 4.5 e 5, risentiti più o meno intensamente a Roma.

Oltre al terremoto del 1812, si ricordano alcuni terremoti locali, in genere di non forte intensità, come quello del 1895 di Castelporziano (Mw 4.8), che ebbe effetti Mcs 5-6 al centro di Roma, ma effetti maggiori in quelli che ormai sono diventati quartieri a sud della Capitale (Castel Romano 6-7, Castel di Decima, Castel di Leva, Fiumicino, Ostia Antica, Cecchignola tutti con 6).

In genere i terremoti locali si sviluppano dall'area a sud-est della capitale (come accadde in occasione del terremoto del 1811 di Ciampino, magnitudo Mw 4.83), oppure nella zona a sud (come nel caso della già citata scossa di Castelporziano, o anche di quella più leggera del giugno 1995 di magnitudo Mw 3.6 tra Acilia e Torvajanica), ma a volte possono interessare la zona nord, come il caso della scossa del 1909 di Monte Mario (Mw4.8). 

Il terremoto del 1919 di Anzio, centrato in realtà pochi km a sud di Aprilia, ebbe come intensità una magnitudo Mw 5.53, ed ebbe a Roma un effetto non trascurabile (livello Mcs 5-6).

Pericolosità sismica 

La mappa della pericolosità sismica  (che mostra l'accelerazione orizzontale massima del suolo attesa, in percentuali dell'accelerazione di gravità) relativa alla zona di Roma per un periodo di 475 anni, mostra come la città abbia una pericolosità medio-bassa, ma che sia comunque divisa in due, con una maggiore pericolosità nella zona sud-est:
Pericolosità sismica 10% in 50 anni
Per un periodo di 2475 anni la pericolosità aumenta decisamente, e viene confermata la posizione della città al confine tra aree a pericolosità diversa: la zona sud e sud-est della città assume una colorazione viola, che si riferisce ad un'accelerazione orizzontale di media intensità. Questo vale anche per tutta l'area dei Colli Albani. Un po' meglio se la passa la zona a nord-est della capitale (rossa), e decisamente meglio la zona a nord-ovest, di colore arancione. 
Pericolosità sismica 2% in 50 anni
Naturalmente queste mappe sono calcolate senza considerare le eventuali amplificazioni che possono verificarsi nei terreni sabbiosi, di tipo alluvionale, che purtroppo sono presenti in alcune zone di Roma.

Le faglie 

Tutto l'Appennino è percorso da una serie di faglie. La più vicina a Roma, quella responsabile dei terremoti del 1349 e del 1915, è la Lago del Salto-Ovindoli-Barrea (ITCS025 nel database DISS 3), lunga circa 115 km, che comunque dista non meno di 55 km da Roma. Ad essa sono associati secondo gli studiosi terremoti di magnitudo Mw fino a 6.7 (anche se in realtà il terremoto del 1915 fu di magnitudo 7.0).
Nella zona di Bagnoregio, ad est del lago di Bolsena, non è indicata la presenza di faglie, anche se in realtà vi si sono verificati importanti terremoti (il già citato del 1349, e poi 1655 e 1738).
Vi è poi la piccola faglia dei Castelli Romani (ITCS086), lunga appena una ventina di chilometri, che si distende da nord-est (appena a nord di Rocca Priora) a sud-ovest, appena a nord di Aprilia. Comprende paesi come Nemi, Genzano, Velletri e Lanuvio, e ad essa sono associati terremoti di magnitudo massima 5.6. I terremoti che si verificano nella zona di Anzio dovrebbero appartenere alla stessa faglia, anche se il terremoto del 1919 si è verificato qualche chilometro più a sud della fine indicata della faglia.
La faglia dista nella zona centrale appena una decina di km da Ciampino, e poco più di 20 dal centro di Roma.
Le faglie della zona di Roma

Conclusione

Roma può risentire:
- di una sismicità locale, con terremoti che storicamente sono stati di magnitudo Mw inferiore a 5, centrati in alcune zone della città, preferibilmente sud-est, sud e nord.
- dei terremoti che si possono verificare nella vicina area che va dai Castelli alla zona del litorale verso Anzio, che storicamente non hanno superato la magnitudo Mw 5.6.
- dei terremoti, molto più forti, che si possono verificare lungo l'Appennino, e in particolare nell'area Reatino-Aquilano, che storicamente hanno raggiunto anche la magnitudo Mw 7.

Il risultato è che nel corso della sua lunga storia Roma ha conosciuto un certo numero di terremoti, alcuni capaci di provocare crolli di monumenti e chiese. Tuttavia non c'è mai stato terremoto capace di radere al suolo la città e di provocare un elevato numero di morti nella popolazione, almeno negli ultimi secoli, quando la qualità costruttiva degli edifici è comunque migliorata rispetto all'antichità e al medioevo. Occorre comunque una certa cautela dal momento che i tempi geologici sono più lunghi di quelli storici, e inoltre considerando l'elevato numero di abitanti e la presenza di edifici costruiti senza criteri antisismici. Per conoscere il rischio sismico di una città occorre effettuare una divisione in zone in base all'amplificazione prodotta dal terreno (microzonazione, già effettuata in molte città del nord), perché come abbiamo detto i terreni alluvionali (presenti in alcune zone della città) possono amplificare gli effetti di un sisma; inoltre occorre conoscere il criterio con cui sono stati costruiti gli edifici. L'assenza negli ultimi decenni di terremoti forti come quello di Avezzano (che è stato 50 volte più potente di quello dell'Aquila del 2009 ed è stato anche più vicino a Roma), rende difficile valutare la risposta che gli innumerevoli edifici costruiti negli ultimi decenni potrebbero dare in caso di terremoto di una certa intensità.
Sarebbe bene che la cultura della prevenzione entrasse a far parte del bagaglio culturale degli italiani, e soprattutto delle sue classi dirigenti, e che in ogni città si controllasse che gli edifici siano in grado di sopportare un evento delle proporzioni attese per quell'area. Roma non è la città più a rischio d'Italia, ma non è neanche la più al sicuro, e visto l'elevato numero di abitanti, il danno anche economico di un eventuale sisma di proporzioni anche soltanto moderate potrebbe non essere indifferente.




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