lunedì 26 marzo 2012

Bertinotti e Moretti. Embè?


La polemica tra l'ex segretario di Rifondazione Comunista Fausto Bertinotti e il regista Nanni Moretti di qualche giorno fa è un'occasione per riflettere sul problema del rapporto tra le due sinistre, quella "alternativa", "antagonista" o "di lotta", e quella "progressista", "moderata" o "di governo". In un'intervista a Repubblica, Moretti ha accusato Bertinotti di aver provocato la caduta del governo Prodi e di aver così aperto la strada a Berlusconi: "Bertinotti in nome dei lavoratori che diceva di rappresentare tolse la fiducia a Prodi e, secondo me, di fatto fece perdere 10 anni a questo Paese. Sono convinto che se Prodi avesse resistito poi Berlusconi non avrebbe avuto vita così facile nel riprendersi la maggioranza e il destino politico dell'Italia sarebbe stato diverso".
Immediata la replica di Bertinotti: "Qualche generoso cronista dovrebbe informare il molto saccente Nanni Moretti che la rottura tra Rifondazione comunista e il governo Prodi è del 1998 e che dopo tale rottura, e prima del ritorno di Berlusconi, vennero i governi di Massimo D'Alema e di Giuliano Amato e che poi, dopo il governo Berlusconi, nel 2006 tornò di nuovo a vincere la coalizione guidata da Romano Prodi". Questa è una replica un po' debole perché il cambio di governo e di maggioranza (dovettero infatti correre in soccorso del centro-sinistra degli esponenti di centro) indebolì l'azione del centro-sinistra, oltre che il consenso che aveva presso gli elettori, i quali avevano votato per Prodi presidente e si ritrovarono invece con altri presidenti del Consiglio. In ogni caso, Bertinotti lasciò il centro-sinistra per la sua strada, non curandosi di cosa sarebbe successo dopo la caduta di Prodi. D'altro canto uno spettacolo ancora peggiore si ebbe durante il secondo governo Prodi (2006-2008) quando gli esponenti di Rifondazione nello stesso tempo stavano nel governo ma lo criticavano, approvavano le leggi ma andavano in piazza a protestare, e lo stesso Bertinotti da presidente della Camera criticò duramente il governo e sostenne che aveva fallito nel dicembre 2007, vale a dire poche settimane prima della sua caduta.
Prosegue Bertinotti: "Dopo quella lontana rottura il Prc, ed io con esso - puntualizza ancora Bertinotti - ha fatto un gran cammino che gli ha consentito di vivere l'esperienza del movimento altermondialista da Porto Alegre a Genova e oltre. Per parte mia è un'esperienza che rivendico: non a tutti è dato di essere autonomi dal potere. Per scelta volontaria ho lasciato il ruolo di direzione politica nel 2008, nel frattempo, da quella rottura era passata una intera storia." Qui Bertinotti ammette candidamente di aver cambiato idea in corsa e di aver scelto di non avere responsabilità di potere, però siccome la rivendica, pensa di essere esentato dai giudizi sulle conseguenze di quella scelta. Come dire: "embè?".
Purtroppo per lui, però, le cose non sono andate come Bertinotti auspicava: la caduta di Prodi non spostò i consensi verso sinistra, il suo partito non crebbe ma decrebbe, la globalizzazione non provocò la nascita di una massa rivoluzionaria, la maggioranza della popolazione preferisce nonostante tutto questo sistema piuttosto che un salto nel buio in uno alternativo (guidato da chi, poi?), ma Bertinotti continua imperterrito a dare giudizi sulla società, che evidentemente però non capisce, dato che va regolarmente in una direzione diversa da quella che lui si aspettava.
Ora, gli elettori hanno punito Bertinotti e i partiti che ancora si richiamano al comunismo, portandoli all'irrilevanza parlamentare, ma nel frattempo l'ex braccio destro di Bertinotti, Nichi Vendola, si è conquistato uno spazio con il suo eloquio e il suo carisma, tanto che i sondaggi danno il suo partito "Sinistra, ecologia e libertà" al di sopra del 7%.
A questo punto però mi chiedo: quali garanzie ci sono che Vendola non segua lo stesso percorso di Bertinotti, e non decida di allearsi con il centro-sinistra per tenerlo sotto scacco e minarne gli intenti riformatori?

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