mercoledì 20 ottobre 2010

Il fallimento della RAI e la politica italiana

La notizia che la RAI è in un sostanziale stato di bancarotta (con un deficit che viaggia verso i 600 milioni di Euro) non è un fulmine a ciel sereno. E' chiaro che un carrozzone pubblico e gestito con logiche clientelari, dal momento in cui deve confrontarsi con un mercato, sia pur limitato a pochi concorrenti (Mediaset, La7, Sky), finirà per soccombere. Soprattutto quando al governo (e dunque a capo della Rai) c'è il proprietario del principale concorrente. In realtà non ci sarebbe neanche bisogno della concorrenza: in Italia tutte le industrie pubbliche (tipo Alitalia e la Tirrenia, per esempio) sono da sempre andate regolarmente in deficit, tanto poi pagava lo Stato (o meglio, i contribuenti).
Il fallimento della Rai è lo specchio della gestione dissennata (o meglio, assennata secondo le logiche predatorie dei partiti italiani) degli enti pubblici nel nostro Paese. I partiti nel dopoguerra si sono infiltrati in tutti i settori pubblici e li hanno gestiti (o meglio depredati) in base ai propri interessi (e a quelli delle rispettive clientele) e non in base all'interesse pubblico.
Poiché si era in una fase di espansione economica (e di debito pubblico gonfiato ad arte per nascondere le inefficienze), gli sprechi e le ruberie non si notavano, o non facevano notizia.
Ora che invece il debito pubblico è arrivato al 120% del Pil (come alla vigilia della crisi del 1992 e di Tangentopoli), ecco che i nodi vengono al pettine, e la politica italiana viene sorpresa con le mani nella marmellata, quando però i vasetti di marmellata stanno finendo e dunque ciò che un tempo era tollerato emerge come uno scandalo.
Questa volta però la classe politica (o meglio, Berlusconi) ha capito la lezione del periodo '92-'94, e dunque sa che per evitare una nuova Tangentopoli è necessario mettere il bavaglio all'informazione, e sopratutto impedire le indagini. Da ciò le diverse proposte di legge che Berlusconi e i suoi stanno preparando, tra cui il "processo breve" (per consentire a chi dispone di buoni avvocati di tirarla per le lunghe e non farsi giudicare), la legge sulle intercettazioni (per impedire a chi indaga di scoprire gli atti di corruzione) e altre amenità come il lodo Alfano (così almeno Lui si salva). L'unica speranza è che i finiani siano conseguenti e non accettino di votare altre leggi sfascia-giustizia.
Intanto la sinistra come al solito dorme, e si fa scavalcare da Fini, oltre che sul tema della legalità, sulla proposta di privatizzare la Rai. Immagino sia un grosso colpo per il Pd abbandonare la Rai, o meglio RaiTre, praticamente l'ultimo avamposto che gli resta. Potrebbe sembrare incredibile, ma a sinistra molti pensano che vada tutto bene così, finché ci sarà il controllo di RaiTre.
Certamente, prima di privatizzare la Rai, si dovrebbe fare una legge sul conflitto di interessi, altrimenti la Rai se la comprerebbe uno come Berlusconi, magari utilizzando amici, parenti e prestanomi.

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